Si arriva ad Ulaan Bataar dopo una traversata lunghissima di deserto e praterie. La Mongolia e' immensa, le sue forme sinuose e sfumate fatte di verde, di blu e di giallo sembrano non avere limiti: arrivano fino dove gli occhi possono vedere e poi ancora ancora ancora.
Ulaan Bataar, con i suoi edifici in stile sovietico e la sua distesa di case basse e ger fisse in un certo senso ricorda l'estensione di questa nazione: e' una citta' bassa, fatta di case basse che si estendono sul suolo collinoso inframezzatre fra e la da ciminiere che sputano fumo nero.
Su una collina in lontananza si scorge il volto del mitico Gengis Khan, primo segnale del forte revival che la figura del fondatore dell'impero mongolo sta avendo in questi anni. Ed e' piu' che comprensibile: dopo anni di sottomissione alla Cina Prima e alla Russia dopo, con la fine del socialismo (dall'inizio degli anni 90) in Mongolia si assiste ad una forte ricerca delle origini culturali: statue ed effigi di gengis khan ovunque, alcune enormi, templi e buddha ristrutturati, non per i turisti, ma per i fedeli... e l'orgoglio di questo popolo si respira in ogni momento: i mongoli di primo acchito sembrano diffidenti e introversi, come i nostri veri montanari, e, solo dopo aver instaurato una relazione, si possono scambiare dei sorrisi e magari sguardi di intesa o comunicazioni extra linguistiche... E questo vale sia pr i cittadini che per gli abitanti delle praterie che abbiamo incontrato, ma anche per chi lavora in alberghi o campoi per turisti... ed e' questa la cosa che forse stupisce di piu' e che, ancora una volta, mi fa pensare ai veri montanari, forse ogni tanto un po' troppo ottusi...
Sara' la necessita' di vivere in condizioni decisamente non agevoli, sara' il loro sangue che ha dentro questo modo di fare fiero e dignitoso, sara' lo strettissimo contatto con le forze della natura e la convivenza simbiotica con gli animali a rendere queste persone cosi' dure ma allo stesso tempo evidentemente sensibili....
sabato 7 luglio 2007
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